Racconto di Sara – luglio 2024

È una lettera di amore al Madagascar, per dargli, nel mio piccolo, una voce..

Qui ho imparato che le case si costruiscono con le finestre ad ovest così da guardare l’ultimo sole e che Il posto migliore per stare seduti è il ciglio della strada, a dieci centimetri dalle ruote polverose dei 4×4 che ti sfiorano. Qua la stella di Natale, vive quasi tutto l’anno e si chiama Madagascar, perché sulla sua foglia ha impressa la forma di quest’isola unica. Se volessimo potremmo vivere solo grazie alla tenacia dell’agricoltore e di ciò che la terra gli regala in segno di riconoscenza. Le tombe non si indicano mai con l’indice, ma col pugno o col dito medio ripiegato su stesso..è un segno di rispetto verso il defunto. Le impalcature delle case sono fatte con bastoni accatastati l’uno sull’altro, proprio come stessimo giocando a Shanghai. Le scarpe sono un lusso che non tutti possono permettersi. Qui le barche viaggiano senza luci la notte, perché il timoniere conosce il fondale ed ogni singola curva del fiume a memoria, solo la luna, se c’è, a guidarlo. La “o’ si legge “u”.

È sufficiente non dare le spalle ai coccodrilli quando si lavano i panni a bordo del fiume..se si guardano negli occhi, capiranno che non devono attaccare. “Avere sei mogli è poligamia, averne una è monotonia”. Le galline sono animali domestici, il giorno girovagano qua e là e la sera rientrano nella propria casa, ognuna ha la sua. Ci sono piante parassite che nascono all’interno di altre e ne succhiano la clorofilla fino a farle morire, così muoiono anche loro. Altre si attaccano fuori, sulla corteccia, senza essere troppo invadenti, così vivranno in un rapporto simbiotico perfetto. A voi trarne la metafora per la nostra vita.

C’è una specie di lemure nella giungla, che non è in grado di proteggere la famiglia, la femmina la si riconosce perché ha la pancia bianca e il maschio, nel caso la perdesse, urlerà tutte le sere al tramonto per il dolore. Terra di risaie, variopinta, dalle strade sconnesse, di povertà e di ricchezza, di quella che non si vede, di piedi vaganti con sacchi sulla testa, che quasi sembrano leggeri e di biciclette su per le salite impervie e soleggiate. Terra di una moda caotica tutta propria, che mi attrae incredibilmente. Di zebù, mango e riso, tanto riso, capanne di argilla, sguardi curiosi, sorrisi e bambini che ti urlano “vasa” quando passi, vuol dire “straniero”. C’è la ferrovia, ma nessun treno che passa, a meno che tu non sia sulla costa est, vicino alla grande città di Fianarantsoa. C’è musica e frastuono spesso, ma alla sera tutto si ferma nel giro di pochi minuti, nel buio, perché il sole stanco, si nasconde dietro le montagne. Tornerà la mattina e con lui i villaggi rinasceranno. “Mora mora”..dicono, “piano, piano”, non c’è fretta di vivere..alcuni non sanno neanche la loro età, il tempo non serve, sono loro che rincorrono la vita, non lei ad inseguirli. Terra sottovalutata, che ha voglia di libertà, di rivalsa, di ribellione, ma dove tutto ancora un po’ tace..

”mora, mora”, ancora…tempo al tempo. Anche quest’isola avrà ciò che si merita da questa vita.

Un saluto..a chi festeggia l’indipendenza portando a spasso lanterne colorate per le vie scure delle città affollate, un saluto al coraggio e ai piedi nudi tra le pietre, ai fuochi accesi sulle lingue di sabbia in mezzo al fiume, tra canti e balli del posto. Un saluto alla noia, questa creatura sconosciuta, ciò che non si è mai avuto, non si può desiderare, non lo si conosce proprio e a che serve annoiarsi se ci si può guardare in faccia e parlare? se si può giocare con il tappino rotto di una penna o una bottiglia di plastica tagliata a metà, a che serve? Se si può rincorrere il copertone di una macchina e utilizzare il tempo per setacciare il riso, chicco per chicco. Serve a poco..se si può correre liberi dentro ad una nuvola di cavallette che ti fanno vento planandoti forte incontro, stando attente a non toccarti.

Queste righe sono disordinate, proprio come queste strade, ma non c’è una regola..qua tutto vive in simbiosi con la natura, retto da un equilibrio tutto suo e che nessuno lo disturbi, perché è perfetto così.

Sai Madagascar, ho pianto molto per te in questi giorni, in silenzio, senza farmi vedere, nè sentire. Scusami non hai sicuramente bisogno delle mie lacrime, ma odori di famiglia e mi fai uno strano, fortissimo effetto. Da noi si chiama “colpo di fulmine”..sono sicura tu non sappia cosa sia..e così ancora una volta, dovrò disinnamorarmi cara Africa..sono pronta!

Potessi materializzare i ricordi che ho di te, li incastrerei sotto il cuscino per dormirci sopra tutte le notti e starò attenta a non far sbiadire gli occhi che ho incontrato. Nel frattempo sotto la cover del mio cellulare ho schiacciate delle cartacce arancioni di tre caramelle, è un regalo di una bambina di un villaggio e darò loro la stessa importanza che le avrebbe dato lei, se gliel’avessi regalate io. Un saluto a tutte le “ultime volte”, perché esistono e dobbiamo farci i conti, quelle in cui ti guardi, perché ciò che si dice con gli occhi, le parole non potrebbero e aspetti che l’altro diventi un puntino lontano cercando di imprimere il più possibile il suo viso. “il mondo è piccolo e rotondo, se non ci vediamo in questa vita, lo faremo nella prossima”, così mi è stato detto. Scrivo da questo furgoncino, amico fedele ..sballotto da una parte all’altra, per le buche, per le curve e ho le gambe incastrate tra le valige. Dal finestrino guardo ad ovest, come le case malgasce e osservo l’ultimo sole di questo cielo, che sicuramente non è il mio, è rosso fuoco. Lo porterò con me.

Ciao Madagascar..mi sei mancato dal primo giorno in cui ti ho visto e tu non sai neanche che esisto.

Sara Ricci